8 marzo e dintorni: quattro appuntamenti settimanali con la consigliera di parità, Diana Tazzini e il racconto di donne in diversi ambiti

Come anticipato la scorsa settimana, quest’anno per la giornata internazionale dei diritti delle donne, che si è celebrata l’8 marzo, ho pensato ad un’iniziativa più capillare rispetto al classico convegno, ideando questa rubrica dal titolo “8 marzo e dintorni” con lo scopo di dar voce a donne che si sono distinte in  diversi ambiti professionali. Avrei potuto dire ambiti professionali di consueto appannaggio maschile ma volutamente non l’ho fatto. Il gender gap si supera anche e soprattutto con un lavoro su noi stessi e così mi sono spinta ad una riflessione sulla definizione di quei settori, politica, giustizia, cultura e sanità, nei quali lavorano le intervistate. Sono settori strategici, delicati, se vogliamo difficili, carichi di responsabilità, pregni di grandi soddisfazioni ma non definiamoli più di appannaggio tipicamente maschile. Non lo sono e non lo devono essere! Cominciamo dalle parole a definire la nostra realtà. Cominciamo parlando di giustizia attraverso le parole di tre donne che rivestono all’interno dell’Avvocatura provinciale e non solo, un ruolo di spicco. Sono, per me che scrivo, tre Colleghe dalle quali ho sempre provato ad ottenere ispirazione non solo e non tanto dal punto di vista professionale, non solo e non tanto guardandone lo stile difensivo nelle aule, ma soprattutto dal loro “pensato”, perché sono fermamente convinta che la differenza la faccia non il genere di appartenenza ma la persona, la sua identità, la sua capacità di gestire se stessa e le situazioni che di volta in volta si presentano al Sé.

Come per la politica, ho rivolto una sola domanda, un’intervista insolita forse ma l’intento era quello di riportare il pensiero di chi mi rispondeva senza voler entrare nel contenuto, rispettando i singoli passaggi, che sembrano banali ma nella metrica del discorso hanno un forte peso e parlano più di tante parole, al pari dei silenzi durante le conversazioni.

Vi riporto, con questa regola che ho appena citato, il loro pensiero.

Alla domanda “cosa ha comportato essere donna nella Tua professione” rispondono nell’ordine l’avv. Giovanna Barsotti, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati Massa e Carrara, L’avv. Michela Consigli, Presidente del Comitato Pari Opportunità dell’Ordine di Massa e Carrara e l’avv. Claudia Volpi, Presidente della Camera Penale di Massa e Carrara.

 

Partirei dalla riflessione dell’avv. Giovanna Barsotti, che in tutta onestà mi porto dentro da quando l’ho ascoltata e so già, perché mi conosco ormai da qualche anno, che lavorerà silente per molto tempo tra i miei pensieri:

“Nessuna cosa è mai venuta alla luce senza l’interesse di coloro la cui attività cooperò a farla crescere; e dal momento che ad un interesse noi diamo il nome di passione, così […] dobbiamo dire in generale che nulla di grande è stato compiuto nel mondo senza passione» 

Sull’eco di questo concetto di Hegel, che avevo letto nel commento ad una sentenza e che ho sempre sintetizzato in “Nulla di grande nel mondo storico è stato compiuto senza passione”, ho cercato di affrontare tutta la mia vita, non solo professionale.

Sono convinta che, se supportato da passione, l’affrontare qualsiasi ostacolo, che si possa frapporre fra noi ed il nostro obbiettivo, sia superabile.

Così, per lo meno, è stato per me.

Lo è stato nello studio universitario e in quello professionale. Parlo proprio di quella passione che, tutt’oggi, mi tiene seduta alla scrivania, per ore, alla ricerca del “bandolo della matassa”, della “chiave di volta”, del ragionamento che sto affrontando. Quella fame di conoscenza che, mantenendomi assolutamente ignorante, mi fa cercare incessantemente di capire qualcosa di più.

Credo che, in tutta questa continua ricerca, essere donna mi abbia aiutato perché, senza merito alcuno, porto dentro di me, geneticamente, il dono del sapere ascoltare e dell’accogliere, consapevole, oggi più di ieri, che si possa imparare dagli altri, chiunque essi siano e che solo così si possa continuare a crescere e a migliorarsi, quotidianamente, sapendo far tesoro, anche e soprattutto, dei propri errori e dei propri difetti.

Ed io, modestamente, sono campionessa in entrambi i settori.

Mi viene sempre in mente la frase che mi disse qualche tempo fa la Presidente del Tribunale della Spezia che se non ricordo male anche lei aveva preso da qualche grande (Curchill) secondo cui “il successo è passare da un fallimento all’altro senza perdere l’entusiasmo”.

Passiamo alle parole dell’avv. Michela Consigli, che mi hanno costretta a vivere e rivivere quel momento in cui la mente di, credo quasi, tutte le donne si chiede se stia facendo la scelta giusta:

“Ho sempre ritenuto che essere donna sia un valore aggiunto e credo che siano proprio le caratteristiche che ci differenziano dall’uomo a poter divenire un punto di forza del nostro genere, invece di un punto di debolezza, anche nell’ambito lavorativo.

Essere donna nella mia professione ha significato prima di tutto seguire una grande passione, che è quella della difesa dei diritti degli altri, anche (e soprattutto) quando sembra mancare una compiuta tutela dei diritti proprio a sostegno dell’avvocatura, nell’equilibrare il ruolo professionale con gli impegni familiari.

Ricordo che il legittimo impedimento nell’avvocatura, nell’ipotesi di gravidanza, è stato regolamentato solo nel 2018 e che, ancora oggi, la mancanza di politiche di sostegno alle esigenze di accudimento dei figli è la principale causa di cancellazione delle donne dall’albo.

È importante ricordare, soprattutto ricordare a se stesse, che essere una madre e una professionista non sono obiettivi mutuamente esclusivi. 

E poi c’è una riflessione più intima: oltre alle scadenze processuali, che non conoscono impedimenti, c’è talvolta anche il senso di colpa, generato da un’apparente inconciliabilità, magari da un pregiudizio celato dalle parole anche di altre donne, tra la realizzazione come professionista ed essere una buona madre.   

E’ stato anche il sostegno e l’orgoglio di mio figlio, che crescendo ha compreso quali sono i sacrifici che una mamma lavoratrice deve affrontare, che mi hanno mostrato quanto sia importante continuare con tenacia a non rinunciare a nulla, diventando anche esempio per le nuove generazioni, che percepiscono con una nuova prospettiva il mondo del lavoro e l’importanza dell’equità di genere.”

 

Per concludere il pensiero dell’avv Claudia Volpi che ci racconta un vissuto delle nostre aule penali, tristemente noto e tristemente vissuto anche da chi scrive:

 

“Fino ad una certa età non mi sono accorta di essere un avvocato donna…nel senso che non l’ho mai trovato limitante.

Poi mi è capitata una telefonata Mi hanno consigliato l’avvocato Volpi. Sono io, buongiorno. Ah no, non mi avevano detto che era una donna, donne non ne voglio!

Ha influito il trascorrere degli anni su questo? Sinceramente no. Ho solo imparato a trasformare una condizione di apparente svantaggio in forza: mi capita sovente di andare in tribunale fuori dal Foro, mi succede spesso di essere l’unica donna in aula, dietro al banco del Giudice (lì le donne sono in aumento), ogni volta so per certo che verrò sottovalutata. La sorpresa di chi scopre che una donna può essere un avvocato preparato, supera l’amarezza di essere invisibile appena entri in un’aula in cui non ti conoscono. I colleghi parlano tra loro, in attesa dell’udienza, se tu interloquisci ti ignorano con sguardo di sufficienza.

Poi loro sono lì per un rinvio, tu poni una questione di legittimità costituzionale…

Dobbiamo essere più forti? Dobbiamo essere più toste? Dobbiamo essere più preparate?

No, dobbiamo essere solo noi stesse, non ci arrendiamo al “giacca e cravatta”, siamo noi stesse, fino in fondo.

E se qualcuno un giorno ti chiede Ah tu fai l’avvocato? No, io sono un avvocato.”

Queste tre riflessioni, diverse tra loro sono accumunate da un medesimo filo conduttore, lo stesso che aveva poi di sottofondo anche l’intervento delle Dott.ssa Sordi la scorsa settimana, la società, il sessismo, lo stato patriarcale, la normalizzazione di un mondo al maschile. La strada è lunga ma, da inguaribile ottimista quale sono, dico che almeno una strada esiste e Noi tutte, intervistate ed intervistande, la stiamo percorrendo di buon passo

Pubblicato: 14 marzo 2024
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