Parlare di politiche di genere sempre e non solo l’8 marzo

Intervento della Consigliera di parità provinciale, Avvocata Diana Tazzini.

“È volutamente provocatoria l’uscita di questo comunicato nella giornata successiva alla festa della donna.

Perché di politiche di genere si deve parlare sempre e non soltanto l’otto marzo.

Il premier Draghi ed il Presidente della Repubblica Mattarella ieri hanno tenuto due discorsi importanti sul tema della violenza di genere e sulle politiche. L’Italia sembra finalmente andare verso la giusta direzione. E’ tuttavia innegabile che la strada da percorrere sia ancora molto lunga.

Il mio ruolo, in qualità di Consigliera di parità della provincia, è quello di garantire l’ordinato funzionamento delle politiche del lavoro. Mi piace questa definizione che ho dato al mio ruolo, ordinato perché nell’ordine vi è armonia e l’armonia la si raggiunge in un clima di cooperazione e serenità.

Il lavoro è, insieme a quello familiare, il luogo dove si trascorre il numero maggiore di ore quotidiane, quello nel quale si investe in termini di tempo e sacrifici scolastici, quello che dovrebbe creare le basi per l’indipendenza economica prima dal nucleo familiare di origine e poi da quello eventuale e costruito col partner.

Tutto vero ma l’Italia è in ritardo non tanto e non solo nelle politiche di genere in ambito del lavoro, lo è proprio nel contesto sociale permeato da modelli ormai obsoleti che devono essere estirpati.

Solitamente quando si parla di politiche di genere si tende a voler differenziare tempi di vita tipicamente maschili da quelli femminili ma questo stesso incipit è il problema di fondo da combattere perché in sé nasconde un gap di genere.

Nasconde quell’idea subdola e taciuta, ma mai dimenticata, per cui il figlio sia della donna, la casa sia della donna, la cura degli anziani sia della donna. Nasconde quell’idea, divenuta ormai cacofonica, per cui una donna è un po’ meno donna se non ha un marito o dei figli.

Senza questo cambiamento le migliori politiche non argineranno il problema italiano.

La pandemia ci ha consegnato dei numeri abnormi, il 98% di chi ha perso il lavoro durante il periodo Covid è donna, e francamente questo dato si colloca all’interno di un sistema già di suo in difficoltà.

L’occupazione femminile è il 18% in meno di quella maschile. La percentuale di lavoro part-time è del 73,2% di questo ben il 60,4% non è volontario. Il cd gender pay gap, differenza di retribuzione a parità di ruolo, è del 25 %, ovvero le donne guadagnano il 25% in meno dei loro colleghi di pari livello.

Di fronte a questi numeri, permettetemi, si deve fare uno sforzo.

Ben vengano le dichiarazioni della Ministra Elena Bonetti, ministra perché Lei crede nella declinazione delle professioni ed io credo fermamente nella libertà di autodeterminazione delle persone, che ci ricorda come l’antidoto a tutto questo stia nell’incentivare l’ingresso nel mondo del lavoro attraverso nuovi modelli di welfare.

La chiosa naturale al mio discorso è che questi modelli saranno veramente nuovi quando non saranno pensati per ridurre il carico di lavoro sulle donne bensì sui componenti della famiglia.

Maria Cecilia Guerra, Sottosegretaria del Ministero dell’Economia durante il governo Conte, aveva dato due “ricette” che io condivido in toto. Una politica di trasparenza retributiva tendente ad arginare il gender pay gap ed un sistema di potenziamento dei servizi piuttosto che sgravi o decontribuzione che rischiano di nuocere ancor di più alle donne.

Come ultima riflessione questa. A mio avviso le cose miglioreranno quando ai nostri figli verrà insegnato a non aiutare mamma. Perché si aiuta nelle case dove siamo ospiti, ma in casa propria si vive e quindi si fa e non si aiuta. Si cucina, si riordina il disordine si dividono gli impegni familiari sulla base di quelli lavorativi e scolastici di tutti i componenti della famiglia. In casa non si aiuta nessuno, in casa si fa, aiutiamo a casa degli altri”.

 

 

Pubblicato: 09 marzo 2021
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